Omaggio al lago di Garda

 

anne lacus tantos? te, Lari maxime, teque,
fluctibus et fremitu adsurgens Benace marino?

VIRGILIO, Georgiche, II, 160-161

 

Daniela Mazzon Systema. Tutti i diritti riservati

 

 

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Sed neque Medorum siluae, ditissima terra,
nec pulcher Ganges atque auro turbidus Hermus
laudibus Italiae certent, non Bactra neque Indi
totaque turiferis Panchaia pinguis harenis.
haec loca non tauri spirantes naribus ignem               140
inuertere satis immanis dentibus hydri,
nec galeis densisque uirum seges horruit hastis;
sed grauidae fruges et Bacchi Massicus umor
impleuere; tenent oleae armentaque laeta.
hinc bellator equus campo sese arduus infert,               145
hinc albi, Clitumne, greges et maxima taurus
uictima, saepe tuo perfusi flumine sacro,
Romanos ad templa deum duxere triumphos.
hic uer adsiduum atque alienis mensibus aestas:
bis grauidae pecudes, bis pomis utilis arbos.               150
at rabidae tigres absunt et saeua leonum
semina, nec miseros fallunt aconita legentis,
nec rapit immensos orbis per humum neque tanto
squameus in spiram tractu se colligit anguis.
adde tot egregias urbes operumque laborem,               155
tot congesta manu praeruptis oppida saxis
fluminaque antiquos subter labentia muros.
an mare quod supra memorem, quodque adluit infra?
anne lacus tantos? te, Lari maxime, teque,
fluctibus et fremitu adsurgens Benace marino? 160
an memorem portus Lucrinoque addita claustra
atque indignatum magnis stridoribus aequor,
Iulia qua ponto longe sonat unda refuso
Tyrrhenusque fretis immittitur aestus Auernis?
haec eadem argenti riuos aerisque metalla               165
ostendit uenis atque auro plurima fluxit.
haec genus acre uirum, Marsos pubemque Sabellam
adsuetumque malo Ligurem Volscosque uerutos
extulit, haec Decios Marios magnosque Camillos,
Scipiadas duros bello et te, maxime Caesar,               170
qui nunc extremis Asiae iam uictor in oris
imbellem auertis Romanis arcibus Indum.
salue, magna parens frugum, Saturnia tellus,
magna uirum: tibi res antiquae laudis et artem
ingredior sanctos ausus recludere fontis,               175
Ascraeumque cano Romana per oppida carmen.

VIRGILIO, Georgiche, II, 136 – 176

 

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Ma né le terra dei Medi, ricchissima di selve,

né il bel Gange e l’Ermo torbido per oro,

potrebbero gareggiare con l’Italia, non la Battriana né l’India

e tutta la Panchaia fertile per sabbie ricche d’incenso.

Non ararono questi luoghi tori spiranti fuochi dalle narici

per seminare i denti dell’immane serpente,

né una messe di guerrieri ispida di elmi e di aste fitte spuntò;

ma messi rigogliose e il liquore Massico di Bacco li riempiono;

olivi e armenti grassi li occupano.

Di qui il cavallo da guerra si spinge intrepido nella pianura;

di qui, o Clitumno, bianche greggi e il toro, la più grande delle vittime sacrificali,

bagnati spesso dal tuo sacro fiume,

precedettero i trionfi Romani verso i templi degli dei.

Qui è perpetuamente primavera  ed estate nei rimanenti mesi;

il bestiame è gravido due volte, gli alberi fruttificano due volte.

Ma le tigri rabbiose non ci sono e il crudele seme dei leoni ,

né l’aconito inganna i miseri raccoglitori,

né il serpente squamoso striscia per il terreno,

né si riavvolge a spira in un tanto grande territorio.

Aggiungi tante nobili città e opere dell’uomo,

tante rocche edificate con la mano su rupi scoscese,

e fiumi che lambiscono antiche mura.

O ricorderò io il mare, che bagna la penisola a settentrione

o quello che la circonda a meridione?

O così grandi laghi? Te, o Lario, il più grande, e te,

o Benaco, che ti gonfi con onde e con fremito marino?

O ricorderò i porti e le chiuse aggiunte al lago Lucrino

e il mare che si sdegna con grandi stridori,

là dove l’acqua del porto Giulio risuona lontano dal mare che si riversa,

e l’onda tempestosa del Tirreno s’immette nelle acque dell’Averno?

Questa stessa ruscelli d’argento e miniere di rame

mostrò nelle sue vene, e fluì ricchissima di oro.

Questa produsse una forte stirpe di uomini, i Marsi e la gioventù Sabina

e i Liguri abituati a una vita rude

e i Volsci armati di lance,

questa i Deci, i Mari e i grandi Camilli,

gli Scipioni inflessibili in guerra, e te, soprattutto, o Cesare,

che ora, già vincitore nelle estreme coste dell’Asia,

tiene lontano l’imbelle Orientale dalle roccaforti romane.

Salve, o terra Saturnia, grande genitrice di messi,

grande di uomini; io tratto per te cose di gloria e arte antiche,

osando schiudere le fonti sacre,

e canto una poesia Ascrea per le fortezze romane.

 

 

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Suso in Italia bella giace un laco

a piè de l’Alpe che serra Lamagna

sovra Tiralli, c’ha nome Benaco

 

DANTE ALIGHIERI, Inferno, XX, 61 – 63

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