Fatto per comunicare: ®the social vase di Francesco Ardini

Vasi da trasporto:

amphora

kalpis

hydria

pelike;

Vasi contenitori:

pithos,

kratere

oinochoe

psykter

olpe;

Vasi per bere:

kantharos,

kyathos,

kylix,

kotyle,

rhyton,

skyphos

Vasi rituali:

lebes (o lebete),

lebes gamikos

loutrophoros (o lutroforo)

phiale

Contenitori per toilette:

alabastron

ariballo

askos

exaleiptron

lekanis

lekythos

lydion

pyxis (o pisside)  … … … etc. etc.

Come si vede da questo elenco (parziale, ma abbastanza esaustivo), i vasi in ceramica nell’antichità classica ebbero un’infinità di funzioni, ai nostri giorni spesso demandate ad altri oggetti più specializzati. Servivano per trasportare e conservare liquidi e solidi; per mescolare e per versare; per apparecchiare la mensa, sotto forma di coppe, tazze, boccali; per contenere cosmetici, unguenti e profumi; per libagioni o lavacri nei riti sacri. Come parte del corredo funerario, accompagnavano le persone anche nella tomba, per comparire forse, come ombra sbiadita, nella grigia quotidianità del mondo oltremondano. Ciascun tipo di vaso era prodotto dagli artigiani, a seconda del gusto o della moda del momento, in infinite varianti di stile, dimensione, rifiniture.

La Grecia trasse ispirazione e tecniche da civiltà preesistenti dell’area egea, in cui erano già fiorite culture di grande splendore e originalità artistica. Durante il periodo minoico si contano oltre una sessantina di forme, con realizzazioni sempre più perfezionate, fino ad arrivare alla tornitura di pareti sottilissime a guscio d’uovo e con dipinti sempre più fantasiosi, che “raccontano” ai posteri la vita del tempo, non solo attraverso le immagini più propriamente naturalistiche, ma anche per mezzo degli ornati, dei colori, dell’aggiunta sulla parete del vaso di spruzzi di argilla fresca o di conchiglie.

Con l’ “età classica” cominciarono ad apparire nei decori le vicende di Troia, i miti antichi che stanno alla base delle composizioni tragiche, accanto a raffigurazione di momenti del vivere quotidiano: banchetti, simposi, sport, giochi, danze, la toilette e il trucco femminili …

Lo scopo paideuitico e artistico, in queste circostanze, appare prevalente su quello più propriamente strumentale: l’artisticità viene incommensurabilmente esaltata, in questa somma del valore  del supporto con la “narrazione” di un canto di Omero o delle vicende di un eroe.  Immaginiamo dunque il committente dell’epoca intento a rimirare il proprio acquisto; a commentare con gli amici invitati al simposio la preziosità del cratere che troneggia sul tavolo nel mezzo della sala, in attesa che sia eletto il simposiarca; a raccontare ai figli le mitiche fatiche di Eracle, che appare raffigurato sulle pareti del vaso con l’immancabile clava e la pelle del leone nemeo appoggiata sulle spalle; immaginiamo anche l’umile ancella addetta alla cucina, mentre guarda stupita il ritratto della bella Elena o della fatale Medea.

Per appropriarsi di vasi, si poteva anche uccidere: Mario iscrisse nelle liste di proscrizione Verre, che non gli aveva voluto “donare spontaneamente” la sua celebre collezione di vasi corinzi (che, a sua volta aveva costituito con le modalità  truffaldine a tutti ben note, grazie alle orazioni ciceroniane).

In questo cenno al mondo classico, il vaso appare al centro di un microcosmo, in cui ondeggia fra l’identità della più umile stoviglia di coccio, a quella dell’oggetto del desiderio maniacale del collezionista.

In entrambi questi casi estremi, fra i quali si estende una moltitudine di varianti, è comunque un oggetto che l’artigiano o l’artista hanno già realizzato nella forma e nel decoro e il destinatario ha voluto, comprato, ambito  proprio per  la sua compiutezza.

Ma l’antico artista sembra aver definito, oltre al ruolo dei suoi contemporanei, anche il nostro, rendendoci, a distanza di secoli, spettatori affascinati del manufatto ben custodito all’interno di una teca di cristallo o riprodotto fotograficamente sul manuale di storia dell’arte.

Possiamo guardare, commentare, ammirare le forme; riconoscere, raccontare e rivivere i miti narrati, ma pur sempre da spettatori, mai da protagonisti.

Del resto, come si fa a essere spettatori e attori del medesimo racconto?

Come dare l’avvio con un vaso di ceramica a una ‘storia infinita’,  che si modifica a seconda di chi lo usa, del suo umore, delle sue vicissitudini?

Come trasformare un romanzo nel “nostro romanzo” e la vicenda che decora un vaso nella nostra unica, irripetibile vicenda?

Come mutarla a seconda dello stato d’animo e, ancora di più, renderla dialettica, invitando a far parte della nostra narrazione altre persone che lo vogliano?

L’idea, semplice e geniale al contempo, è venuta a Francesco Ardini, il quale sebbene giovanissimo, già da tempo sta proponendo con la sua arte il tema della comunicazione: nelle opere BPee (prima uscita, Venezia – Design week, Spazio dei Mori, 8 – 17 ottobre 2010) e BProtect (prima uscita, Vicenza – nascita del Fragilismo, Stamperia d’arte Busato, 13 – 31 maggio 2011) ha fatto emergere i pensieri dei candidi putti in ceramica bianca fra le proliferazioni color petrolio o fango, dando loro la forma  di punti esclamativi o interrogativi incastonati in bianche vignette mobili.

®Daniela Mazoon Systema. Tutti i diritti riservati.

 

 

®Daniela Mazoon Systema. Tutti i diritti riservati.

 

Ecco: nella vignetta che esprime uno stato d’animo e nella sua mobilità c’è uno dei nuclei poetici fondamentali di  ®the social vase, l’ultima opera ideata dal ceramista nell’ambito di questa tematica.

L’artista adopera un semplice vaso bianco, dalle forme lisce e pulite, su cui è appoggiato un coperchio monocolore in cui ciascuno di noi può inserire a suo piacimento il corredo di vignette “illustrate”  con i segni d’interpunzione già usati dall’artista per indicare sorpresa, dubbio, sospensione…  e con simboli propri del sistema comunicativo contemporaneo, ossia emotions, prese nella loro veste più scarna oppure rielaborate con fantasiosa creatività. In ciascuna vignetta c’è anche lo spazio sufficiente (sul recto e sul verso) per scrivere una frase, una parola, per lasciare un saluto a un amico, per chiedere scusa…

La disposizione seguirà una specie di ikebana personalissimo ed emozionale, in cui la “Via dei fiori” diventa una “Via della comunicazione”.

Con ®the social vase Francesco Ardini continua dunque a scandagliare e a oltrepassare i limiti strutturali e ideologici dell’opera d’arte in generale e del campo specifica in cui si esprime, in una ricerca continua, in cui il pensiero sembra già essere andato oltre, quando la materia si è appena arresa alle sue nuove idee.

 

©Daniela Mazzon Systema. Tutti i diritti riservati

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